Brevi meditazioni bibliche     

 

 

 


IL PADRE NOSTRO


“Voi dunque pregate così”

(Matteo 6:1-18)

In questo capitolo dell'Evangelo di Matteo, Gesù condanna fermamente l'ipocrisia dei farisei del Suo tempo:

a. le loro elemosine (versi 2-4);
b. le loro preghiere (versi 5,6);
c. i loro digiuni (versi 16-18).

I discepoli chiedono a Gesù che insegni loro a pregare: "Signore insegnaci a pregare" (Luca 11: 1). Tuttavia, ancor prima di insegnare loro le "parole" da rivolgere a Dio, Gesù insegna il "modo" in cui bisogna pregare e l'attitudine che deve caratterizzare la preghiera (versi 5-8).

1. Una preghiera personale
"entra nella tua cameretta".

La preghiera riguarda il rapporto tra il Creatore e la creatura nella sua individualità. Gesù condanna la preghiera degli ipocriti che amano pregare in modo plateale (verso 5): o in piedi nelle sinagoghe (Luca 18:9-14) per mettere in mostra tutta la "giustizia umana"; o agli angoli delle piazze (Matt. 23:5,6) per essere visti e sentiti dagli uomini (verso 1). Gesù ribalta quello che i religiosi del Suo tempo facevano ed insegna a "ritirarsi in disparte" per rivolgere la preghiera a Dio. La "cameretta", in effetti, ci porta a pensare ad una "conversazione" personale che nulla ha a che fare con la bella mostra di sé nella sinagoga (Dan.6:10).

2. Una preghiera intima
"chiusa la porta"

Che differenza con gli ipocriti che "gridano" la loro preghiera per farsi sentire dagli uomini! (Matt.7:21- 23; Is.29:13). a. La porta chiusa indica il fatto che si vuole essere "sentiti ed ascoltati" solo da Dio. b. Mentre la ricompensa degli ipocriti è la soddisfazione vanagloriosa del momento (versi 2,5), Gesù ci insegna a chiudere "la porta" in una intima comunione con Dio per realizzare ciò che si chiede (Gio.15:7).

3. Una preghiera rivolta al Padre
"rivolgi la preghiera al Padre tuo".

Qui viene sottolineato quale deve essere il rapporto tra il Creatore e la creatura: Padre e figlio! Questa figura di Dio è davvero stupenda perché il padre vuole assolutamente il bene del proprio figlio. Sicuramente un padre non darà mai una pietra al figlio che gli chiede del pane, oppure un serpente al posto di un pesce o, ancora, uno scorpione anziché un uovo! (Luca 11:9-12) Il Padre dà sempre "cose buone" (Matt.7:11) e "lo Spirito Santo" a coloro che glielo domandano (Luca 11:13).

4. Una preghiera sincera
"e il Padre tuo che vede nel segreto".

Dio è onnisciente e conosce tutto di noi (Ebr.4:13; Sal.33:13-15). La preghiera sincera che viene accettata da Dio viene descritta in due modi (Giov.4:23,24): o "in spirito" cioè spiritualmente, non in modo meccanico, ripetitivo e senza nessuna attenzione a ciò che si sta facendo; o "in verità" cioè interiore, sincera, con tutto il cuore e non apparente. È questa la preghiera elevata secondo la Parola-Verità, cioè come comanda la Sacra Scrittura. Dio vede e legge le parti più recondite della nostra esistenza e sa già ciò che il nostro cuore desidera. Egli premia sempre l'anima sincera che si accosta a Lui.

5. Una preghiera breve
"non usate troppe parole".

Lutero diceva: "Quanto più povera di parole, tanto migliore è la preghiera". Gesù insegna a non usare troppe parole, infatti:
a. I pagani pensano che l'esaudimento della preghiera viene dalla sua "lunghezza", quindi tanto è prolissa la preghiera, tanto più è probabile l'esaudimento (verso 7), ma Gesù ci insegna che "non chiunque mi dice: Signore, Signore! Entrerà nel regno dei cieli" (Matt. 7:21).
b. Il Padre "sa", cioè conosce già, perciò è più importante la nostra fede e non il numero delle parole (Matteo 21:22; Ebr.11:1-6).

 

Padre nostro che sei nei cieli sia santificato il Tuo nome
Matteo 6:9

Gesù introduce la preghiera con un "dunque" che indica un fatto importante: questa preghie-ra racchiude in sé tutti gli elementi sul "modo" della preghiera, precedentemente analizzati. Infatti, il Padre Nostro è una preghiera personale, intima, rivolta al Padre, sincera e breve. Naturalmente, questa preghiera, proprio per evidenziare e condannare l'ipocrisia delle preghie re meccaniche dei pagani, è semplicemente un "modello" di preghiera che i cristiani devono tenere nel cuore e nella mente ogni qualvolta si rivolgono a Dio.

1. LA PATERNITÀ DI DIO:
"Padre nostro…"

Questa prima considerazione riguarda il modo in cui rivolgerci a Dio: "Padre nostro!" Il termine "abbà" è un vocabolo della vita quotidiana ebraica che nessuno avrebbe mai applicato a Dio. Significa "caro padre" e viene detto in tono confidenziale, come dire "papà". Era questo il modo in cui i figli, ancor bambini, chiamavano il loro padre. Nell'Antico Testamento non ci sembra che il popolo d'Israele chiamasse Dio in tal modo. Infatti troviamo solo qualche rarissima citazione (Is.63:16; Sal.68:5); mentre in qualche altro testo è Dio che si dichiara un Padre (Is.43:6). La nostra espressione implica due fatti essenziali: a. Siamo figli di Dio. Ciò è il risultato dell'esperienza della salvezza. Avendo "ricevuto" Cristo nella nostra vita siamo divenuti "figli di Dio" (Giov.1:11,12) per adozione (Gal.4:5-7). Ora, a tal proposito, le persone della Trinità svolgono un ruolo fondamentale, in quanto: - Il Padre ci offre il Suo amore (1Giov.3: 1,2); - Gesù ci porta e ci rivela il Padre (Giov. 14:6-11; Mat.11:27); - Lo Spirito Santo ci accerta e certifica che siamo figli di Dio (Rom.8:15-17). b. Siamo parte della famiglia di Dio. Il fatto che Dio sia "Nostro Padre" ha, co me conseguenza, una implicazione straordinaria: apparteniamo ad una famiglia dove gli altri membri sono nostri fratelli (Ef.2:19). Perciò ogni volta che preghiamo ci ricordiamo di loro perché Dio è "nostro" Padre.

2. LA SOVRANITÀ DI DIO:
"che sei nei cieli…"

Non bisogna mai dimenticare, e l'espressione confidenziale "Abbà" potrebbe portarci a farlo, che Dio, il Padre Nostro, è il Sovrano e Signore dell'universo e della nostra stessa esistenza: Egli è il Creatore! (Is.6.1-4) L'apostolo richiama a non dimenticare che Dio è "nel cielo" (Ef.6:9) e noi siamo Sue creature. Il concetto della sovranità di Dio evidenzia: a. La nostra umile sottomissione al Padre. Isaia si riconosce un peccatore dinanzi al trono di Dio (Is.6:5). Chi siamo noi dinanzi al Suo trono? Proprio perché Egli è il Signore ed il Sovrano è necessario "togliersi i calzari dai piedi" (Es.3:5, 6; Gios.5:13-15). Ci sottomettiamo umilmente a Dio, permettendoGli di "regnare", cioè di governare la nostra esistenza. b. La necessità di un intercessore. Solo tramite un intercessore tra noi e Dio potremo andare al Padre e chiamarLo "Abbà", Padre (Ebr.10:19-21). Cristo Gesù è il nostro mediatore (1Tim.2:5,6a). Egli è il "paracleto" presso il Padre (1Giov.2:1,2), perciò possiamo andare a Dio Padre nel nome di Gesù (Giov.15: 16).

3. LA SANTITÀ DI DIO:
"sia santificato il Tuo nome…"

Questa espressione è sicuramente legata al terzo comandamento: "Non pronunciare il nome del Signore, Dio tuo, invano" (Es. 20:7). Il comando evidenzia la santità di Dio. Quando le Scritture parlano del "nome" di Dio, intendono sottolineare i Suoi attributi divini: Egli è Eterno, Purissimo Spirito, Onnipotente, Onnipresente, Onnisciente, Santo, Giusto, Fedele, Misericordioso, Amore, Bontà…! Fra i nomi di Dio (vedi nota), quello che risulta più caro ai Suoi figli è "Padre" (Is.57:15). Questa meravigliosa realtà implica tre considerazioni di fatto.

a.I figli portano il nome del Padre.


Abbiamo il grande privilegio di essere figli di Dio perché, purificati dal sangue di Cristo, abbiamo ricevuto la "natura divina" (2Pie.1:4). Ciò significa che portiamo il nome del Padre a pieno titolo. Ebbene, il nome del Padre viene "santificato", nel senso di glorificato, nell'opera che Egli compie in noi (Ez.36:23-27): - libera dal peccato e dal mondo (v.24); - purifica e trasforma (vv.25,26); - dà lo Spirito Santo (v.27) che aiuta a fare la volontà del Padre. Questa opera è la santificazione "senza la quale nessuno vedrà Dio" (Eb.12:14).

b. I figli somigliano al Padre.

 
Tutti i figli vogliono somigliare al modello per eccellenza che è il loro padre. In quanto figli di Dio, è nostro desiderio somigliare al Padre Celeste (Ef.5:1). Tanto più Gli somigliamo, tanto più è "santificato il Suo nome!". Gesù ci esorta ad essere come il Padre: - Misericordiosi come il Padre (Luca 6:36). La bontà e l'amore di Dio sono un modello per i Suoi figli. - Perfetti come il Padre (Mat.5:48). Il termine "perfezione" indica l'essere santi, cioè separati o "recintati", come il Padre (1Pie.1:14-17; 2Cor.6:17,18). In questo senso tutti gli aspetti della nostra esistenza devono mirare al modello paterno: la condotta (1Tess.4.2-8), i sentimenti (2Cor.7:1) e le parole (Tito 2:8).

c. I figli esaltano il Padre.

 
Questo è un interessantissimo aspetto della nostra preghiera: adorare Dio! L'adorazione che bisogna rivolgere al Padre deve avere due caratteristiche fondamentali. - "In spirito e Verità" (Giov.4.23,24). Dio è Spirito e pertanto l'adorazione deve essere spirituale e non meccanica o ripetitiva. Sono i sentimenti del cuore che devono essere pienamente coinvolti. Inoltre la preghiera deve essere secondo gli insegnamenti della Parola di Dio perché sia "in verità". - Con "timore e tremore" (Is.66:1,2). Dinanzi alla Sua santità bisogna "togliersi i calzari dai piedi". Questo deve responsabilizzare quanti, con superficialità e leggerezza, partecipano ai culti noncu-ranti del momento e del luogo. Non solo è necessario curare il nostro aspetto esteriore (come si è vestiti, come ci si siede…) ma anche i nostri sentimenti, che devono essere all'insegna della purezza e della semplicità A volte il nome di Dio viene offeso anziché santificato e glorificato, quando non permettiamo l'opera di Dio in noi, non somigliamo al Padre e non Lo esaltiamo come dovremmo! "Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome!"

Nota

I NOMI DI DIO Nell'Antico Testamento troviamo tre termini ebraici che indicano Dio:

1. ELOHIM indica il Creatore (Gen.1:1). E in forma plurale e sottintende la divina Trinità.

2. EL e la forma abbreviata di Elohim ed indica l'onnipotenza di Dio. Unito ad altri termini, questo nome ci descrive gli attributi di Dio.

3. ADONAI significa Signore o Padrone (Es.23: 17) e sottolinea la sovrana signoria di Dio. Questo termine viene poi tradotto nel Nuovo testamento con Kyrios per indicare tutte e tre le Persone della Trinità. Oltre a questi tre termini, nell'Antico Testamento Dio si rivela con il Suo nome:

YHWH (Es.3:14).

Il Signore Gesù applicherà a se stesso questo nome, scatenando le ire dei religiosi del suo tempo (Giov.8:58 - Io so-no).
Inoltre, anche nel libro dell'Apocalisse Gesù viene designato nello stesso modo (Apo.4:8). Questo è il tetragramma sacro del quale non ci è pervenuta l'esatta pronuncia. Infatti, per una eccessiva riverenza, gli ebrei non pronunciavano mai il nome di Dio e, più tardi, lo sostituirono con Adonai. Questo fatto ha prodotto l'ibrido "Geova" che traduce, erroneamente, i due termini Yhwh e Adonai. In pratica alle consonanti del tetragramma sacro vennero aggiunte le vocali di Adonai. Secondo gli studiosi la pronuncia del tetragramma è Yahweh oppure Javeh. YHWH è una forma arcaica del verbo essere "hawah", ed esprime l'eternità di Dio: - Egli è Colui che è, l'eterno assoluto (Sal.90:2; 102:27); - Egli è l'Essere eternamente presente, senza principio né fine (Apo.1:4,8; 22:13; 1Gio. 2:14). - Egli è immutabile ed im-perscrutabile (Giac.1:17; Mal.3:6; Is.40:28; 1Tim.6: 16) e la Sua persona non può essere assomigliata a nessuna cosa del mondo visibile (1Tim.1:17). Nel Nuovo Testamento Dio si rivela in Cristo e per mezzo di Cristo (Gio.1:1; 14:9; Fil.2:6-9; Col.2:9). Tramite il Signore Gesù Cristo, ora il credente conosce YHWH come PADRE (Mat.6:9; Rom.8:15; Ef.5:20).

Venga il Tuo regno
Matteo 6:10a

Questa invocazione sottolinea sicuramente il desiderio profondo di vedere realizza-te le profezie bibliche inerenti alla venuta del Messia e del Suo glorioso regno di pace e d'amore. La Sacra Scrittura ci presenta l'esistenza di due regni:

1. Il regno del peccato e delle tenebre il cui "principe" è il diavolo (Rom.6:12; Gio.16:11);

2. Il regno di Dio il cui Re è il Signore Gesù Cristo (Luca 1:30-33).

Il "Padre Nostro" inizia con questa prima richiesta mettendo così in evidenza ciò che è, in realtà, la cosa più importante ed urgente: il regno di Dio!

1. L'urgenza di realizzare il Suo regno


Cristo, con la Sua venuta, ha portato il regno di Dio agli uomini. Senza particolare clamore, il regno di Dio deve essere realizzato "dentro di noi" (Luca 17:20,21). L'incarnazione del Figlio di Dio è stato il mezzo attraverso il quale Dio ci ha fatto pervenire il Suo regno. Questo regno è, oggi, un regno spirituale che mira alla salvezza delle anime e alla loro redenzione dal regno delle tenebre. Ogni uomo può e deve realizzare nella propria vita la realtà di questo regno. Perché ciò accada è necessario:
a) "diventare come piccoli fanciulli" (Mat.18:3,4). Ciò implica la sincerità e la semplicità di una fede genuina che realizza la promessa del regno;
b) "nascere di nuovo" per la potenza dello Spirito Santo (Gio.3:3-6). A Nicodemo, il Signore Gesù sottolinea che solo questa esperienza di fede potrà assicurare all'uomo, non solo di "vedere", ma di "entrare" nel regno di Dio. La nostra preghiera, dunque, consiste nell'implorare Dio Padre perché la salvezza giunga a tutti gli uomini (Gio.3:16) e, in questo modo si realizzi e viva il regno di Dio "dentro di noi".

 

2. L'urgenza del governo di Cristo

 
Che significato avrebbe mai un regno il cui Re non governa i suoi sudditi? Realizzando il regno di Dio in noi, iniziamo a vivere una "vita nuova" in cui Cristo il Signore prende il "comando" della nostra esistenza (Gal.2: 20). È indubbiamente essen-ziale che Cristo regni in noi e nella Sua Chiesa perché solo in questo modo si realizza:


a) la volontà di Dio (Mat.7:21);
b) la giustizia, la pace e la gioia nello Spirito Santo (Rom.14:17).

In Cristo siamo il "tempio di Dio" e lo Spirito Santo, che vive in noi, deve avere il pieno "possesso" della nostra vita affinché "ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore alla gloria di Dio Padre!" (Fil.2:9-11).

3. L'urgenza di annunciare il regno di Dio


Il grande mandato che Cristo ha dato alla Sua chiesa è l'annuncio dell'Evangelo (Marco 16:15-18). La predicazione della croce "è la potenza di Dio" (1 Cor.1:18, 23, 24) che permette di aprire, o chiudere, il "regno di Dio" che Gesù ha portato nel mondo. Questo annuncio:


a) è la "chiave" che il Signore ha dato ai Suoi discepoli d'ogni tempo (Mat. 16:19);
b) necessita della pienezza e della potenza dello Spirito Santo (1Cor.4: 20; At.1:8).

L'annuncio del regno di Dio, dunque, è quanto di più importante la Chiesa è chiamata a fare in ogni tempo.

4. L'urgenza della venuta del Re

 
Il sogno che Daniele interpreta al re Nabucodonosor anticipa profeticamente la fine dei tempi. La "pietra" che si stacca e colpisce la statua, frantumandola, è il Signore Gesù che viene per stabilire il Suo regno in modo definitivo ed eterno (Dan.2:44,45). In quanto "pellegrini e forestieri" noi credenti "non abbiamo qui una città stabile, ma cerchiamo quella futura" (Eb.13:14). Il desiderio della Chiesa è che Gesù ritorni in gloria per stabilire il Suo regno (2 Pie.3:11-13). Nelle Sacre Scritture la "venuta" del Messia è presentata in tre diversi momenti:

 
a) Egli è venuto ed ha portato il Suo regno nel cuore degli uomini con la Sua incarnazione. Il Suo ministero e la Sua morte vicaria ed espiatrice hanno permesso che "chiunque crede in Lui non perisca ma abbia la vita eterna" (Gio.3:16). Gesù è risorto ed è asceso al cielo dove "è seduto alla destra del Padre ed intercede per noi" (Efe.1:20).

 
b) Egli verrà (parousia, presenza personale) per rapire la Chiesa e portarla con Sé nella gloria (1 Tess.4:16,17). Mentre nel cielo si riceveranno i premi dinanzi al "tribunale di Cristo" e si celebreranno "le nozze dell'Agnello", sulla terra si scatenerà la "grande tribolazione".


c) Egli verrà (apokalupsis, rivelazione, togliere il velo) con la Sua Chiesa per mettere fine al regno terreno dell'anticristo, instaurare il regno millenniale ed infine stabilire "nuovi cieli e nuova terra dove abita la giustizia" (2Tess.1:7; 1Pie.1:6,7; Apo. 20:1-4). "A Lui che ci ama, e ci ha liberati dai nostri peccati con il Suo sangue, che ha fatto di noi un regno e dei sacerdoti del Dio e Padre suo, a Lui sia la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen" (Apo.1:5,6). "Padre... venga il Tuo regno!"

Sia fatta la Tua volontà anche in terra,com'è fatta in cielo
Matteo 6:10b

Il peccato è entrato nel mondo con la scelta sbagliata dei nostri progenitori Adamo ed Eva (Gen.2:16; 3:6).

Essi hanno scelto di "non fare la volontà di Dio" disobbedendo al Suo comando. La nostra preghiera, in qualche modo, ribalta quella situazione e richiede a Dio che la Sua volontà si realizzi e si attui in terra come è già fatta in cielo. Questo ci porta a con-siderare che:

è vivo il desiderio di trovarci nel volere di Dio, consapevoli come siamo che Egli vuole il nostro bene (Rom.8:28; Ger.29:11);

trovarsi nel volere divino non significa affatto rassegnazione supina o arrendersi al "fato", cioè ad un destino ineluttabile a cui non si sfugge, piuttosto è l'abbandonarsi fiducioso nelle "mani" di Dio, che ha un piano ed un progetto personale per ciascuno dei Suoi figli (At.21: 11-14; Is.43:1-4);

la volontà di Dio, talvolta, non collima con i nostri pensieri e progetti, tuttavia è sempre auspicabile trovarvisi al centro(Is.55: 8,9; Sal.37:5). Per comprendere la profondità spirituale della nostra richiesta occorre rispondere ad alcune domande.

1. Qual è la volontà di Dio?

Lo Spirito Santo ci ha rivelato la "volontà di Dio" nella Parola Scritta (2Pie.1:20,21). Nella Sacra Scrittura, Dio rivela il Suo piano per l'umanità tutta e, in particolare, per chi prega: "Padre... sia fatta la Tua volontà..."
Secondo Efesini 1:4-12 è volontà di Dio:

a) essere adottati come figli (v.5);
b) essere redenti mediante il sangue di Cristo (v.7);
c) essere arricchiti di "sapienza" (v.8);
d) essere governati e guidati dall'unico capo, cioè Cristo (v.10);
e) essere eredi della gloria di Dio (v.11).

A ben vedere, dunque, Dio desidera il meglio per i Suoi figli e per l'umanità intera, purché si realizzi la "Sua volontà".

2. In che modo si realizza la Sua volontà?

L'espressione "sia fatta" indica che c'è un aspetto, come dire, pratico che deve essere esperimentato e realizzato in noi (Rom.12:2). Questo fatto porta a considerare che:

a) Intanto, si deve spezzare la mia volontà. C'è una lotta interiore tra "ciò che voglio" e "ciò che faccio"! (Rom.7:14-24). Solo lo Spirito Santo, per il sangue di Cristo, può aiutarci a piegare la nostra volontà e sottometterci a quella divina.

 
b) Poi, la consacrazione e la santificazione portano, in modo consequenziale, e non coercitivo, ad obbedire a tutto ciò che il Signore chiede e comanda (1 Tess.4:3-8). La parabola dei due figli, raccontata dal Signore Gesù è un esempio molto mirato di ciò che stiamo trattando (Mat.21:28-31).

 
c) Infine, la testimonianza che rendiamo al mondo è sicuramente il mezzo che permette di far conoscere la volontà di Dio a tutti gli uomini (1 Pie.2:15). Le "chiavi" dell'Evangelo mettono in comunicazione il cielo e la terra (Mat.16:19).

3. Perché fare la volontà di Dio ?

La Sacra Scrittura ci elenca i benefici che si realizzano quando ci si trova nella volontà di Dio:

a) l'esaudimento della preghiera (1Gio.5:14);
b) una profonda comunione con Cristo (Mat.12:50);
c) l'entrata nel regno di Dio (Mat. 7:21);
d) la vita eterna con il Signore (1Gio.2:17).

Di primo acchito, potrebbe sembrare una perdita rinunciare alla nostra volontà, tuttavia scopriamo che, in realtà, è un grande guadagno (Mar.10:28-30).

4. Chi è l'esempio perfetto ?

La preghiera che Gesù ci insegna è stata da Lui stesso realizzata quando ha lasciato la gloria per fare la volontà del Padre (Gio.4:34; 5:30; 6:38). Tutte e tre le domande precedenti trovano piena risposta nell'esempio che Gesù ci ha lasciato. Infatti:

Quale era la volontà di Dio? La salvezza dell'umanità per mezzo dell'uomo perfetto che ha mandato, cioè Gesù (Gio.6:39).

In che modo si realizza questa Sua volontà? Per mezzo del sacrificio perfetto che doveva essere compiuto e che è stato compiuto da Gesù (Luca 22:42; Eb.10:7-10; Is.53:11).

Perché fare la volontà del Padre? Per instaurare il Suo regno eterno (Dan.2:44; Apo.11:15). "Padre... sia fatta la Tua volontà anche in terra come è fatta in cielo!"

Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Matteo 6:11

Con questa frase hanno inizio una serie di richieste: "dacci..., rimettici..., non ci esporre..., liberaci...".

Tutte queste richieste sono, innanzitutto, rivolte al Padre perché solo da Lui viene "ogni grazia" (2Cor.9:8). Poi, il fatto che siano richieste al plurale ("dacci..." e non dammi!) im-plica l'unione dei credenti e la solidarietà cristiana nella preghiera per ottenere i doni di Dio "Ed anche in verità vi dico: Se due di voi sulla terra s'accordano a domandare una cosa qualsiasi, quella sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli" (Mat.18:19) "Tutti costoro perseveravano di pari consentimento nella preghiera, con le donne, e con Maria, madre di Gesù, e coi fratelli di lui" (At.1:14). In questa nostra richiesta il Signore Gesù ci insegna almeno tre lezioni che riguardano il "pane".

1. Il pane per oggi

Il pane degli israeliti aveva la forma di focaccia piatta, era di farina di frumento (per i più poveri di farina d'orzo) e si cuoceva ogni giorno, per averlo sempre fresco, in "giare di ter-racotta" riscaldate oppure interrate in una buca con il fuoco acceso. Da questo si distingueva il pane azzimo che era impastato senza il lievito.

Il pane parla della divina provvidenza:
Dio provvede ogni giorno ai bisogni materiali dei Suoi figli. Ogni credente deve essere piena-mente consapevole che:

a) Dio non abbandona mai i Suoi figli (Sal.37:25);


b) occorre avere piena fiducia nel Padre Celeste che ogni giorno e "di giorno in giorno" provvede il necessario (1 Pie.5:7). La storia d'Israele nel deserto è un esempio straordinario della provvidenza divina per il Suo popolo (Es.16:16-21). La Sacra Scrittura, ripetutamente, incoraggia i credenti ad avere fiducia in Dio, perché Egli provvede ad ogni necessità (Mat.25-27,34; Fil.4.11; 1 Tim. 6:6-10; Eb.13:15; 2 Cor.9:8-11).

2. Il pane quotidiano

L'espressione "pane quotidiano", letteralmente il "pane di domani", indica, probabilmente o un pane pronto per il giorno successivo, oppure "tutto il nutrimento necessario per un'intera giornata" (Gia.2.15,16). La Parola di Dio è sicuramente il cibo migliore per il nutrimento della nostra anima, visto che "non di pane soltanto vivrà l'uomo, ma di ogni parola che proviene dalla bocca di Dio" (Mat.4:4).

In questo senso:

a) la Parola di Dio è il cibo che nutre appieno e sazia l'anima affamata (Eb.5:12-14; Gio.6:26,27);
b) la Parola di Dio è anche il "pane di domani" perché è eterna, cioè dura per sempre (1 Pie.1:24,25).

In ogni generazione, la Parola del Signore è stata, ed è ancora, l'unico pane genuino ed energetico che sostiene i credenti giorno per giorno.

3. Il pane "nostro"

Noi chiediamo al Padre, non il "pane del mondo" che non sazia (Is.55:2), ma il "nostro pane", cioè il pane che il Padre Celeste ha riservato ai Suoi figli (Gio.6:32-35): questo pane è il Signore Gesù Cristo! Ora occorre considerare la esclusività di questo "Pane" del tutto speciale:

a) è "Pane disceso dal cielo" (Gio.6:41,42,49,50). Dunque ha una natura soprannaturale e celeste. Questo Pane si è reso disponibile per noi tramite il miracolo dell'incarnazione;
b) è "Pane vero" (Gio.6:32,33), perciò ha la capacità di saziare appieno e dare la vita (Gio.6:48);
c) è "Pane vivente" che assicura, a chi lo mangia, la vita eterna (Gio.6:51, 58).

Ecco perché è necessario che chiediamo al Padre il "pane quotidiano" con la certezza che Egli ci darà il pane e non una "pietra"; "Io altresì vi dico: Chiedete, e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate, e vi sarà aperto. Poiché chiunque chiede riceve, chi cerca trova, e sarà aperto a chi picchia. E chi è quel padre tra voi che, se il figliuolo gli chiede un pane, gli dia una pietra? O se gli chiede un pesce, gli dia invece una serpe? Oppure anche se gli chiede un uovo, gli dia uno scorpione? Se voi dunque, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figliuoli, quanto più il vostro Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo domandano!" (Luca 11:10-13).

"Padre... dacci oggi il nostro pane quotidiano!"
Noi chiediamo al Padre, non il "pane del mondo" che non sazia, ma il "nostro pane", cioè il pane che il Padre Celeste ha riservato ai Suoi figli

Rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori Matteo 6:12.

La richiesta è riferita, naturalmente, al "debito del peccato" che impedisce di avere comunione innanzitutto con Dio e poi con il nostro prossimo. Questo tipo di debito viene estinto esclusivamente attraverso il perdono. Ora il perdono di Dio per i nostri debiti è strettamente legato al perdono che noi stessi siamo disposti a dare ai nostri debitori. Esaminiamo la nostra preghiera alla luce di ciò che il Signore Gesù stesso dice in Matteo 18:21-35.

1. La natura del debito
Il peccato viene visto, come d'altronde era comune tra gli ebrei, come un debito verso Dio e verso gli uomini (Mat.18:24,25).

a. È un debito enorme che non si può umanamente estinguere. Infatti, diecimila talenti è una cifra tanto grande che è impossibile da pagare. Così come il peccato non può essere tolto "pagando" con opere meritorie o quant’altro.
b. È un debito universale. Ciò significa che tutti gli uomini sono peccatori e dunque debitori (Rom. 3:23).
c. È un debito quotidiano perché giornalmente, ed anche involontariamente, noi pecchiamo (Giac.2:10; 3:2). Perciò è necessario che ci lasciamo "lavare i piedi" (Gio.13:5-10). L'apostolo Paolo, dinanzi a tale realtà, grida: "Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?" Sia ringraziato Dio per la pronta ed immediata risposta: "Grazie siano rese a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore!" (Rom.7:24,25).

2. La soluzione al debito


Il creditore, per legge, poteva confiscare tutti i beni del debitore compresi i suoi figli. Il debitore, dunque, era totalmente in balia del suo creditore (Mat.18: 25-27). Il creditore a cui dobbiamo restituire i nostri debiti è il Padre Celeste: Egli è un Dio le cui "compassioni sono grandi!" (Salmo 119:156).

a. Il Padre è un Dio pronto a perdonare (Isa.1:18). La Sacra Scrittura ci anticipa profeticamente in che modo Dio avrebbe perdonato il peccato dell'uomo senza intaccare la Sua perfetta giustizia (Isa.40:2,3). Il Padre ci perdona in Cristo (1 Gio.1:7-2:2) a condizione che vi sia un sincero ravvedimento ed una sincera confessione (Sal.51:1-4,7-10; 32:5;Rom.10:9,10).
b. Il Padre è un Dio pronto ad accogliere il peccatore ravveduto (Luca 15:20-24). La remissione dei peccati ci consente di rientrare nella "casa paterna" a pieno titolo: figli di Dio! (1 Gio.3:1)

3. La condizione richiesta

 
La preghiera richiede che la remissione del nostro debito nei confronti del Padre sia preceduta da una condizione essenziale: "come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori". Dunque, viene richiesto che perdoniamo il nostro prossimo debitore verso noi (Mat.6:14,15). La parabola mette ben in evidenza questo aspetto fondamentale della preghiera (Mat.18:28-30). Naturalmente occorre precisare che il "perdonare i nostri debitori" non è una indulgenza richiesta per ottenere il perdono divino, infatti:

a. Il perdono del Padre "è per grazia" e non affatto per meriti umani, di qualunque tipo essi possano essere (Ef.2:8,9; Rom.11:6).
b. Il fatto di "rimettere ai nostri debitori" è la prova genuina della "nuova nascita" (Ef.4:31,32; Col.3:13; Rom.13):
c. In altre parole, con la rigenerazione, avendo rivestito la natura divina (2Pie.1:4), "perdonare" diventa una disposizione naturale del credente, un modus vivendi che caratterizza l'esistenza del credente. Ciò significa che, chiunque non perdona il suo prossimo, non può essere perdonato da Dio perché la sua richiesta di remissione è solo formale ed ipocrita e non sostanziale e vera (1 Gio.2:9; 3:14,15).A chi chiede la remissione del peccato al Padre, ma non è nato di nuovo e non ha perdonato il suo prossimo, spetta la condanna e non l'assoluzione (Mat.18:32-35; Gia.2:13). Al contrario, "la preghiera del giusto ha una grande efficacia" perché ha confessato e perdonato il prossimo (Gia.5:16; Luca 7:41-48).

"Padre... rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori!"

Chiunque non perdona il suo prossimo, non può essere perdonato da Dio perché la sua richiesta di remissione è solo formale ed ipocrita e non sostanziale e vera.

Non ci esporre alla tentazione, ma liberaci dal maligno (Matteo 6:13)

L'espressione "non ci esporre" non significa "non farci attraversare" la tentazione, laddove per tentazione si intende la prova (l'espressione "non indurci" non traduce correttamente il termine originale che, invece significa "non ci lasciare esposti" oppure "non ci lasciare soli"). Qualcuno ha detto: "Non possiamo preservarci dalle difficoltà e dalle tentazioni, ma possiamo evitare di rimanere sopraffatti pregando ed invocando l'aiuto divino".

a) La tentazione è la prova che mette il credente nella posizione di dover scegliere tra l'ubbidienza e la fedeltà a Dio oppure la disobbedienza ed il peccato. Nel giardino di Eden, i nostri progenitori scelsero di mangiare il frutto e, dunque, di disobbedire al comando di Dio (Gen.2: 16,17; 3:6). Giuseppe dinanzi alla tentazione sceglie di obbedire al suo Dio (Gen.39:12), mentre Davide sceglie di disobbedire e cade nella tentazione, peccando (2 Sam. 11:2-4).

 
b) Dio non tenta mai l'uomo, semmai è la sua concupiscenza che lo mette alla prova. A questa si uniscono il mondo che lo circonda e il diavolo (Gia.1:13,14; 1 Tim. 6:9; 1 Giov.2:15,16) Giobbe non fu tentato solo da Satana ma anche da sua moglie e dai suoi amici (Giob.2:8,9; 4:7-9).

 
c) Dio permette la tentazione o la prova per rafforzare la fede dei credenti (Deut.13:3; 1 ie.1:6,7). Non è la tentazione in sé ad essere peccato, ma questo si genera quando si cade nella tentazione. La nostra preghiera mette dinanzi alcune realtà che ogni credente deve tenere in conto, se desidera vincere la tentazione e superare le prove.

 

1. La debolezza umana


È necessario riconoscere la pochezza e la debolezza umana di fronte alla tentazione. Forse risulta difficile rimanere fede li a Dio quando ci si trova nel "crogiolo della prova" (Dan.2:16-18), tuttavia le Scritture e l'esperienza ci insegnano che è molto più probabile rimanere fedeli nella dura prova che non dinanzi alle lusinghe del mondo (2 Tim.4:10). È proprio perché Dio conosce la nostra debolezza che:

a) non permette che siamo tentati oltre le nostre forze (1 Cor.10:13);

b) interviene nel momento giusto per liberarci (2 Pie.2:9).

Da parte sua, il credente deve sicura-mente evitare di andare, fisicamente o con la mente, in quei "luoghi" dove sa già di dover subire la tentazione: o l'albero che Eva "osservava" (Gen.3:1-6); o il terrazzo da dove Davide guardava (2 Sam.11:2-4); o il fuoco dei nemici attorno al quale Pietro si sedette (Luca 22:54-62).

Insomma, la nostra debolezza ci deve rendere umili dinanzi a Dio e fiduciosi nel Suo intervento in nostro favore.

 

2. La forza del maligno

 
Non bisogna mai sottovalutare le capacità e le forze di Satana: egli è il tentatore per eccellenza! (Giobbe1:6-12; 2:1-10). Ogni credente deve tenere in considerazione:

a) l'astuzia di Satana (2 Cor.11:3);
b) le insidie di Satana (Efe.6:11-13);
c) le accuse di Satana (Zacc.3:1,2);
d) la "fame" divoratrice di Satana (1Pie.5:8).

Gesù insegna chiaramente quanto sia forte il maligno, ma con il Suo esempio (Mat.4:1-11; Luca 22:40-46) ci esorta rimanere fedeli perché "Colui che è in voi" è più forte ed è più grande del maligno (1 Giov.4:4).

 

3. La potenza del Padre

 
Solo il Padre può liberare i Suoi figli dalla tentazione e renderli vittoriosi. La potenza del maligno viene sconfitta dall'Onnipotenza del Padre Celeste a cui rivolgiamo la nostra preghiera. Ecco per-ché Gesù, nella preghiera sacerdotale, chiede al Padre di preservare i Suoi discepoli dal maligno (Gio.17:15). La Sacra Scrittura ci assicura che:

a)     Dio guarda i Suoi figli (2 Tess.3:3);

 
b) Dio ferma il maligno e non gli permette di danneggiare i credenti (Luca 22:31,32). L'aggiunta al verso 13, che si trova in alcuni manoscritti, rende bene le motivazioni che ci assicurano la piena liberazione: "Perché a Te appartengono il regno, la potenza e la gloria in eterno, amen...".

Il quarto uomo della fornace di Nabucodonosor era il Figlio di Dio, il nostro Salvatore e Signore Gesù Cristo (teofania) che, sebbene all'ultimo istante, interviene e ferma la forza del fuoco (Dan.3:24-27). I credenti possono superare le tentazioni e le prove in questa lotta "contro le insidie del diavolo, contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità" rivestendosi della "completa armatura di Dio" e così poter "resistere nel giorno malvagio, e restare in piedi dopo aver compiuto" tutto il loro dovere (Efe.6:11-13). Solo credenti che hanno lottato in tal modo, alla fine, potranno dire: "Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede. Ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno"

(2 Tim.4:7,8).

 

Gaetano Montante

www.missione-ccine.org

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