Brevi meditazioni bibliche 

  

                                                                                  di Domenico Barbera

 

 

 

LA PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CREDENTI

 

 

"affinché siano tutti uno, come tu, o Padre, sei in me e io in te;
siano anch’essi uno in noi, affinché il mondo creda
che tu mi hai mandato" (Giov. 17:21).

 

 

Questo passaggio mette in evidenza la preghiera di intercessione che Gesù rivolse al Padre per l’unità di tutti i credenti. Per avere un panorama completo, ai fini di comprendere meglio la preghiera per l’unità, non si deve solamente prendere in esame il (v. 21), ma bisogna prendere in considerazione anche  i versi 22 e 23, che dicono:

"E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno, come noi siamo uno. Io sono in loro e tu in me, affinché siano perfetti nell’unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato e li hai amati, come hai amato me"

In questi tre versi vengono elencati tutti gli elementi che costituiscono la preghiera per l’unità; essi sono:

1) Il modello per l’unità;

2) lo scopo che essa deve conseguire, che consiste:

a) "affinché siano uno, come noi siamo uno";

b) "Affinché il mondo creda che tu mi hai mandato";

c) affinché siano perfetti nell’unità;

d) "affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato";

e) "e li hai amati, come hai amato me".

Seguendo questo schema, possiamo approfondire la nostra riflessione per meglio cogliere tutta l’importanza che la preghiera di Gesù ha, non solo dal punto di vista ecclesiologico, ma anche dal punto di vista teologico.

1) Il modello per l’unità dei credenti

È molto importante e significativo che Gesù pone come ‘modello’ di unità dei credenti, Lui ed il Padre. Trattandosi di ‘modello’, sul quale tutti i credenti devono rispecchiarsi, Gesù non poteva porre davanti ai discepoli presenti e futuri un modello umano, cioè uno dei suoi apostoli. Non importa chi avesse potuto scegliere, — ammesso che Egli l’avesse fatto —. Nessuno dei Suoi apostoli poteva essere un valido modello di unità, poiché nessuno di essi, sarebbe stato all’altezza di rappresentare la realtà dell’unità in seno alla cristianità, per le tante lacune che ciascuno di essi presenta in questo campo. Invece, Gesù ed il Padre, possono essere presi ‘come’ veri modelli, per il fatto che tra loro c’è perfetta unità, essendo i due uno. 

L’affermazione di Gesù: "Io e il Padre siamo uno" (Giov. 10:30), non deve essere fraintesa, come se Egli, con queste precise parole, volesse ignorare la realtà della personalità del Padre, distinta da quella del Figlio. Se si dovesse interpretare l’affermazione di Gesù in questo senso, si commetterebbe un grave errore e si troverebbe subito sul terreno dell’eresia. La personalità distinta tra Padre e Figlio, è una di quelle verità cardine del cristianesimo, sulla quale è basata la dottrina della Trinità. Quando questa verità ampiamente documentata nel N.T. non è giustamente compresa, non solo si finisce sul terreno dell’errore e dell’eresia, ma soprattutto si finisce col non valutare giustamente la relazione che intercorre tra Padre e Figlio per ciò che riguarda la loro natura divina. Anche se Gesù ha detto che il Padre è più grande di Lui (Giov. 14:28), ha anche affermato: "Io e il Padre siamo uno" (Giov. 10:30). Che cosa vuol dire questo? Gesù, nella posizione di Figlio, per la missione che è venuto a compiere sulla terra quando si è fatto uomo, ha assunto, per tutta la durata della Sua volontaria umiliazione, una posizione inferiore a quella del Padre; e ciò riguardava solamente la Sua umanità. Ma quando Egli metteva in risalto la Sua divinità, non poteva apparire ‘inferiore’ al Padre, perché in questo c’è perfetta ‘parità’, tra Padre e Figlio, e, pur essendo due distinte persone, sono "uno" nella deità.

In vista di questa inscindibile unità che c’è nella divinità tra Padre e Figlio, l’unità dei credenti non può essere intesa e costruita sopra un diverso fondamento, se si vuole che essa sia degna di questa qualifica, e che nello stesso tempo non abbia ad infrangersi sugli scogli delle incomprensioni umane e sparire dall’orizzonte cristiano.

2) Lo scopo da conseguire 

Lo scopo che l’unità dei credenti deve conseguire, è ampiamente specificato da Gesù e non lascia nessuna incertezza sui traguardi da raggiungere. Per meglio apprezzare questi risultati, approfondiamo la nostra riflessione su quello che Cristo ha detto. 

a)   Uno in noi

"Affinché siano tutti uno, come tu, o Padre sei in me e io in te; siano anch’essi uno in noi".

L’unità dei credenti, così come l’ha intesa e concepita Gesù, deve essere ‘uno’ col Padre e col Figlio, cioè deve rispecchiare la stessa unità che c’è tra loro. Una diversa unità che non tenga conto di questo specifico elemento, non è quella per cui Cristo intercedette presso Suo Padre.

A questo punto, l’esegeta R. Schnackenburg, fa questo ragionamento: "La preghiera per l’unità dei credenti non trova eco alcuna nella grande lettera. La comunità fedele a Cristo sembra essere strettamente unita e compatta; gli eretici, che non facevano intimamente parte di essa, si erano già separati (2:19; cfr. 4:1,4). Qual è dunque il motivo della pressante preghiera per l’unità dei futuri credenti? Al tempo della composizione della preghiera (o della formulazione dei vv 20s.) quei falsi maestri erano forse ancora nella comunità e vi avevano portato confusione e divisione? Oppure avevano costituito nuovi gruppi, che si spacciavano anch’essi per ‘cristiani’, per cui accanto alla comunità "rettamente credente" esistevano altre comunità per la cui riunione si voleva pregare? Ma tale idea, che corrisponderebbe all’odierna aspirazione ecumenica, non ha probabilità di collocazione nella testimonianza di 1 Io.; infatti ai gruppi separati è negato il nome di cristiani (cfr. 2:22; 4:3). Perciò l’intercessione vale soltanto per la vera comunione di Cristo". 

Voleva forse Gesù riferirsi all’unificazione delle tante denominazioni cristiane, come per esempio vorrebbe il moderno movimento ecumenico? A parte che ai tempi di Gesù le denominazioni quali esistono ai nostri giorni non c’erano. Anche se in mezzo agli ebrei c’erano i: Farisei, i Sadducei, gli Esseni, gli Zeloti, questi però non venivano definiti denominazioni, nel senso moderno del termine, ma piuttosto raggruppamenti di corrente religiosa. Bisogna poi aggiungere un’altra cosa: questi raggruppamenti di corrente religiosa, non avevano niente a che vedere con i discepoli di Gesù. Non si può neanche affermare che Cristo, abbia istituito una denominazione particolare per fare confluire tutte le persone che avrebbero creduto in Lui ed accettato il suo insegnamento. Se più tardi i discepoli di Gesù vennero chiamati ‘cristiani’, (Atti 11:26), non fu Gesù a dargli questo nome, ma le persone che abitavano ad Antiochia. Che poi da quel giorno in poi, quel nome rimanesse, fu solamente per distinguere tutti i seguaci di Gesù. Anche lo stesso termine ‘cristianesimo’, ch’è passato alla storia, non deve essere inteso come denominazione, ma come raggruppamento di cristiani che professano gli insegnamenti di Gesù, quindi significa solamente gli aderenti a Cristo, i discepoli di Gesù, distinguendoli dagli Ebrei e dai pagani. Le ‘denominazioni’ quindi, — non importa quali —, non hanno una base scritturale, anche se le stesse sono nate a seguito di certe manifestazioni spirituali tendenti a mettere in risalto certi aspetti della dottrina di Cristo e degli apostoli quali sono rivelati nel N.T. in modo particolare.

D’altra parte, Gesù non venne qui in terra per istituire denominazioni, ma per proclamare il regno di Dio in mezzo agli uomini e per condurre gli stessi a Dio, o per usare l’affermazione giovannea: "per raccogliere in uno i figli di Dio dispersi" (Giov. 11:52).

Anche la grande missione che Cristo affidò agli apostoli, e con essi a tutta la chiesa di Gesù Cristo, non aveva come punto di riferimento la creazione di una denominazione, ma la proclamazione dell’evangelo a tutto il mondo, ad ogni creatura (Matt. 28:19; Mar. 16:15).

Le denominazioni in se stesse, lungi dal pensare di arrecare beneficio all’umanità, creano piuttosto divisioni tra cristiani; erigono steccati di malumori gli uni verso gli altri; suscitano incomprensioni e dissensi a non finire e portano le persone ad emanare severi giudizi, verso coloro che non aderiscono alla stessa denominazione, finendo addirittura di pensare e di credere di essere meglio degli altri, di possedere "tutta verità", di seguire la ‘vera dottrina’ di Cristo. Questa atmosfera che creano le denominazioni in seno all’umanità, (ed anche in mezzo alla cristianità) invece di contribuire ad avvicinare gli uomini a Dio ed a Gesù Cristo, li allontanano e li conducano verso l’indifferenza, lo scetticismo e l’incredulità. Questo stato di cose, non favorisce certamente la proclamazione del regno di Dio, della volontà di Dio e del vangelo di Gesù Cristo. Proclamando una denominazione a scapito di un’altra, si dà l’impressione di essere in  competizione, ‘chi meglio può...’ con la tragica conseguenza che invece di strappare le persone dalle mani di Satana e dal suo diabolico dominio per condurli a Cristo, si finisce per fare il gioco del diavolo che vuole confusione in mezzo all’umanità in materia di fede.

Cristo, con la Sua preghiera per l’unità, non mirava certamente all’unificazione di tutte le denominazioni, come intende il movimento ecumenico, ma ad essere uno con Lui e col Padre, in quella intima relazione di comunione, come giustamente Lui stesso ha bene specificato.

"All’attuale impegno ecumenico l’idea giovannea indica che l’unità non va certo cercata sotto l’aspetto più esteriore ed istituzionale, ma in profondità, nella fede comune in Cristo e nella comunione con Dio e ad essa si deve tendere come a un dono gratuito nella preghiera e nell’amore". 

Non si può neanche invocare Giov. 10:16, che recita:

"Io ho anche delle altre pecore che non sono di quest’ovile; anche quelle io devo raccogliere, ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge e un solo pastore", per giustificare il movimento ecumenico, e per avallare la moderna interpretazione che vorrebbe tutti i cristiani in un solo raggruppamento, per il semplice fatto che, l’azione di raccogliere le ‘altre pecore’, per formare un ‘solo gregge’, è attribuita specificatamente a Gesù Cristo, e non a un capo religioso o a una denominazione. Infine, accettando per verità assoluta, che Gesù Cristo stesso è il "buon pastore" (Giov. 10:14) "il sommo pastore" (1 Piet. 5:4); "il grande pastore delle pecore"(Ebr. 13:20), il ‘solo’ pastore che dirigerà un ‘solo’ gregge, è sicuramente Lui stesso, e non uno dei tanti pastori-capi che dirigono i tanti greggi.

Il movimento ecumenico che ha di mira di raccogliere tutti i cristiani, (e anche i non cristiani?) sotto una sola bandiera e sotto un solo capo, non è altro che una preparazione per l’evento dell’anticristo, che avvalendosi del potere religioso, finirà col sedurre l’umanità, portandoli lontani da Dio e da Gesù Cristo, e non l’adempimento della preghiera di Gesù, per l’unità di tutti i credenti. 

Pertanto, in considerazione di quanto sopra e massimamente in riferimento ai testi suesposti, si rafforza maggiormente la nostra convinzione che, la preghiera per l’unità dei credenti, debba essere intesa, non nel senso di ‘unificare’ tutte le denominazioni in una, ma dell’unità in Cristo, in Dio: "affinché siano tutti uno, come tu, o Padre, sei in me e io in te; siano uno, come noi siamo uno"

a)   Affinché il mondo creda che tu mi hai mandato      

Lo scopo che si prefigge l’unità di tutti i credenti, porterà sicuramente un grande beneficio al mondo (inteso come umanità che vive lontana da Dio).

"L’idea dell’unità... vuole soprattutto mostrare alla coscienza della comunità cristiana come essa è fondata in Dio, fortificarla in ciò e incoraggiarla a rendere testimonianza a Gesù Cristo, l’Inviato di Dio, davanti al mondo".

Cristo, precisò chiaramente: "affinché il mondo creda...". Credere che Gesù Cristo è stato mandato da Dio in questa terra, non significa solamente che Egli ha adempiuto le promesse messianiche, ma significa anche e soprattutto che l’unico che può portare bene all’umanità e salvezza, è solamente Gesù. La salvezza di un’anima, è saldamente ancorata in Cristo Gesù, il solo che l’ha procurata con la Sua morte e con la Sua risurrezione dai morti, e la fede in quello che Egli ha compiuto, è assolutamente indispensabile per ottenerla e realizzarla. Chiunque crede in Cristo ha vita eterna; mentre chi non crede in Lui, è già condannato (Giov. 3:16,18). 

b)     Perfetti nell’unità

Perfetti nell’unità, non significa che i credenti qui in terra raggiungeranno una condizione di non avere nessun difetto e di non commettere nessun peccato. Si sa con certezza che, durante tutto l’arco della vita terrena, i discepoli di Gesù, pur avendo la loro fede in Cristo ed avendo accettato la Sua parola, sono sempre soggetti alle manchevolezze, e spesso vengono meno. Giacomo afferma che se alcuno "non sbaglia nel parlare, è uomo perfetto, ed è pure capace di tenere a freno tutto il corpo" (Giac. 3:2).

In conseguenza di questo stato di cose, la perfezione nell’unità, di cui Gesù formula l’auspicio, vuole soltanto dire che, deve essere completa, nel senso che non deve presentare aspetti negativi. Siccome l’unità dei credenti deve rispecchiare quella che c’è tra Padre e Figlio, ne consegue che deve raggiungere quella meta e quella maturità, per essere vera unità, come Gesù l’ha concepita. 

e)   Affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato 

La perfetta unità che i credenti dovranno raggiungere, porterà immancabilmente un altro beneficio all’umanità. Come per effetto dell’unità il mondo crederà che Gesù è stato mandato dal Padre qui in terra, così per lo stesso effetto, il mondo conoscerà che Cristo è l’inviato celeste. Credere e conoscere, di solito v’anno insieme: "Noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Giov. 6:69).

Attraverso la fede e la conoscenza, si entra in quel rapporto di intimità col Figlio, a mezzo del quale l’uomo può ricevere l’abbondanza della grazia divina che il Figlio dispenza liberamente a quanti lo ricevono nella loro vita.

f)     E li hai amati, come hai amato me 

L’ultimo tassello del mosaico, è costituito dal fatto che il mondo, non solo crederà e conoscerà che Gesù è stato mandato dal Padre, ma conoscerà anche che i credenti sono stati amati dal Padre, nella stessa maniera come il Padre ha amato il Figlio Gesù. Questa conclusione a cui Cristo arriva, ha la sua importanza per il fatto che l’umanità non conoscere l’amore di Dio. Se il Padre ha amato una persona che ha creduto in Gesù e lo ha accettato nella sua vita come il suo personale Salvatore, lo stesso amore che Dio ha manifestato verso quel credente, lo manifesterà verso gli altri, verso tutti.

"Dio ha tanto amato il mondo, (umanità) che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna" (Giov. 3:16).

 

D. Barbera

 

 

 

                                                                   

 

“Il Faro.”

                                                                                                           

                                                                               

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